Recensione. “Il diario di Anna Frank”
Giugno 1942 – Agosto 1944. Ho un diario. Il regalo più gradito. E’ il primo che ricevo e mi piace subito: pagine rilegate in una copertina di cartone. Cosa potrei scrivervi? La mia vita? E perché no! Ho tredici anni, mi piace leggere, mi piace studiare soprattutto i miti, la storia degli dei, la matematica non mi riesce bene però mi impegno. Adoro andare in bici…è liberatorio. Parlo troppo, mi viene sempre rimproverato. Ma cosa posso farci? Ho la mia opinione…io. Gli adulti credono di avere le risposte perché sono più grandi, perché hanno più esperienza. Beh, io ho la mia seppur breve e un giorno ne saprò più degli altri. Magari sono impulsiva, magari non rifletto im maniera adeguata prima di rispondere, ma io voglio rispondere per dire la mia opinione che ha lo stesso valore di quella altrui. Ho delle amiche, ma non sono le amiche con cui mi confido, non ho una vera amica. Ora ho te, ho te, Kitty. So che sei solo un diario ma tu hai la pazienza di ascoltare e so che non mi giudicherai come fanno i miei familiari e questi coinquilini che ci siamo ritrovati come compagni di vita, in questo tratto di vita. Kitty, sono una reclusa in questo rifugio insieme a pochi altri rifugiati che con me dividono questo posto segreto, tenuto al riparo dagli orrori di fuori. E’ un posto piccolo e scomodo, entriamo qui a fatica, mangiamo qui a fatica tutti insieme, litighiamo. E’ dura sopportare questi estranei! Mi criticano di continuo perché per loro sono viziata e poco educata. Anche mia madre lo fa. Mi fa pena mia madre e non è bello quel che dico perché si dovrebbe amare una madre, ma lei è così dura con me. Potrebbe essere un’amica? Un’amica per me? No, Kitty, non è come te. Lei non vuole essere un’amica, pretende di essere una madre, però non è brava con me né come amica né come altro. L’affetto non si può pretendere, nasce nel tempo, va meritato. Dopo tutti questi anni di incomprensione e di mie sofferenze taciute…, come posso provare qualcosa per lei che non sia pietà per come ha rovinato il rapporto madre-figlia? “Ho pietà di mamma, moltissima pietà, perché per la prima volta nella mia vita ho notato che il mio contegno freddo non la lascia indifferente”. Kitty, sono una cattiva persona? Mi viene detto di sì e mi viene detto altro. A volte rimango in silenzio cercando di frenare la mia lingua tagliente ma non si può sopportare sempre tutto. Io sono una persona con un futuro da vivere! Non sei d’accordo con me? E poi gli ospiti di questa casa! Questo rifugio è troppo stretto per delle persone così diverse! Ma è un rifugio e ci tiene al sicuro. “Ho la speranza che tutto finisca presto”. Vorrei un bagno tutto mio e una scrivania da non condividere con un uomo scorbutico che mi rimprovera per ogni sciocchezza…che non è nemmeno un mio parente! “Io desidero più di tutto una casa mia e la libertà di muovermi e poi vorrei essere nuovamente aiutata nel mio lavoro, ossia andare a scuola”. E vorrei poter andare in bici. Ma agli ebrei non è permesso andare in bici. Agli ebrei non sono permesse tante cose! Forse mi lamento troppo, Kitty, lo so, ma la tua Anna è così: Anna ha bisogno di ribellarsi per sentirsi viva! Non mi giudicare, Kitty, non tu. “Chi vive normalmente non può sapere che cosa significhino i libri per noialtri rinchiusi. Lettura, studio e radio sono le nostre distrazioni”. Ogni tanto guardo in strada, quando scosto leggermente la tendina da un angolo di finestra e li vedo: quei poveri ebrei trattati come bestiame, privati di tutto, tolti alle loro case, privati del loro futuro, condotti ad una morte certa. Non voglio pensare alla morte ora, ora che siamo rifugiati in questo strano posto, con i nostri letti accomodati, i vestiti logori e le scarpe vecchie. Alcuni vicini, cari e buoni vicini, ci danno aiuto. Per quanto ancora? Non voglio pensarci più di tanto. Sono fortunata, Kitty, non è vero? Ho te che mi ascolti e ho la mia famiglia qui. Papà è speciale, con lui ho un buon rapporto. La notte, quando sento i cannoni e mi sveglio, corro da lui. Anche le mitragliatrici fanno paura, ne fanno di più, sembra che siano dentro casa. Ascolto insieme agli altri la radio, ci dà conforto, possiamo sperare che tutto terminerà per noi e io posso non pensare più a quelli che non ce l’hanno fatta. Tempo fa hanno costretto i giovani studenti olandesi a prestare giuramento per dichiarare il loro appoggio alla causa tedesca, rinnegando le proprie convinzioni. Non capisco cosa sia questa causa tedesca! Chi si rifiuta finirà nei campi di lavoro in Germania. “Che cosa rimane della gioventù olandese, se tutti debbono duramente lavorare in Germania”? Ascolti sempre i miei sfoghi emotivi, Kitty. Grazie! Sai, “quando penso a come viviamo qui,
giungo sempre alla stessa conclusione che, in paragone con gli altri ebrei che non si sono nascosti, siamo in Paradiso. Però quando tutto sarà ritornato normale, ricorderò con stupore quanto siamo malridotti qui, noi che a casa stavamo tanto bene”. Quanti ebrei trattati come bestie malate e abbandonate vedo condurre al macello! Quanti? Non li conto, non voglio parlarne nemmeno a te. “Il solo pensiero per me è un incubo”. Ma li vedo. Vedrò un giorno me con loro? Nessuno mi risponde. Ho capito che gli adulti, a volte, hanno più paura dei ragazzini. Io ho paura, a te confido tutti i miei incubi, ma di giorno ho mille faccende da sbrigare e tanti compiti da svolgere. Voglio essere una buona alunna. L’anno prossimo tornerò a scuola, in una scuola non solo per ebrei, quando finirà questo incubo della guerra. Gli alleati sono sbarcati in Sicilia, gli alleati sono in Italia, Mussolini è capitolato. “Siamo cosi egoisti che parliamo di un dopoguerra, ci rallegriamo pensando che avremo vestiti nuovi e scarpe nuove, mentre veramente dovremmo risparmiare ogni centesimo per aiutare gli altri, dopo la guerra, a salvare quello che è ancora salvabile”. Io aspetto la fine di questa miseria. Tu non lo faresti? Ho un pezzo di pane ogni giorno, o quasi, comunque mangio, abbiamo diverse scorte nel rifugio. Sono fortunata, ancora tanto fortunata. Ma guardare in strada è doloroso: i bambini olandesi sono così…vittime di questo periodo, così soli e avviliti da chiedere ai passanti un pezzo di pane per poter mangiare, almeno quello. Oh, Kitty, che dolore vedere tutto questi abusi riversati sugli altri e provare un minimo di gioia per me stessa! Perché io ancora non sono stata trovata come tanti nostri conoscenti. Non li rivedrò, non so nemmeno dove siano stati portati, deportati. “Aspettano gli ebrei e aspettano i cristiani”. Il mondo aspetta la fine della guerra e “molti aspettano la morte”. Non dovrei pensare alla morte, non alla mia età, a volte l’aspetto anche io, quando ho paura, quando sono stanca di questa situazione. Vivo in questo alloggio sicuro da oltre un anno e mezzo e la morte ci cammina accanto senza darci tregua. A tredici anni non pensavo alla morte. Tu ci penseresti? Forse crescendo si pensa a tante più cose, così tante da sconfinare dove non si dovrebbe: nel dolore, nelle privazioni, nella morte o, peggio, nell’attesa di essa. “Ah, come divento saggia! Tutto qui deve essere fatto saggiamente, ascoltar le prediche, tenere il becco chiuso, aiutare, essere amabile, dar ragione a tutti e via di questo passo. Ho paura che la mia saggezza, che non è poi molto grande, si consumi molto in fretta e non me ne resti più niente per il dopo guerra”. Cosa non si fa per l’amore della pace! Come è difficile trovare la pace qui dentro, dove siamo tutti pressati e in contrasto tra di noi! Non mi stupisce che lì fuori la pace sia tanto ostacolata quanto voluta. Non devo essere triste, non posso essere maliconica. “E che senso avrebbe fare del nostro rifugio un rifugio malinconico”? Passerà tutto, tristezza compresa, passerà come ogni periodo di dolore che si ricorda ma che non fa più tanto male. Io ricordo tutto, te lo assicuro. Come potrei dimenticare? Forse “avremmo bisogno di ignorare tutte queste miserie, ma siamo troppo angustiati per tutti coloro che ci erano cari e che non possiamo più aiutare”. Questa è la sorte di alcuni: vecchi, bambini, donne incinte, malati, tutti indistintamente percorrono la loro marcia verso la morte. “E tutto questo perché sono ebrei”! Alcuni come noi si salvano, se si nascondono e se vengono aiutati, per questo motivo viviamo tutti insieme: otto persone più un gatto a condividere tutto, non avendo nulla di prezioso da donare e cedere all’infuori della propria sopravvivenza. L’importante è salvare qualcuno, dandogli aiuto. Chi soffre, chi conosce la sofferenza intimamente condivide con altri quel minimo che possiede per non perdersi ulteriormente in altre più profonde sofferenze. E’ un marchio di infamia portare una stella sul petto? Ci hanno dato un marchio di infamia, per loro lo è. La Germania vede così una stella. Io vedo in cielo questa stella. “Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l'avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l'ordine, la pace e la serenità. Intanto debbo conservare intatti i miei ideali, verrà un tempo in cui forse saranno ancora attuabili”. Le stelle non appartengono forse al Cielo? Kitty, se potessi rispondere mi renderesti felice! “Chi, oltre me, leggerà un giorno queste lettere”? Scriverò ancora, secondo te? Sì, altri diari ed altre storie, “magari senza le difficoltà di questi tempi”. Tu mi conosci, Kitty, meglio di chiunque altro ed anche io ho
una buona conoscenza di me stessa. “In tutti i miei atti io posso studiarmi come fossi un’estranea. Io mi pongo di fronte all’Anna di tutti i giorni senza prevenzioni e senza scuse e osservo ciò che essa fa di bene e ciò che fa di male. Questo senso di me stessa non mi abbandona mai”. Non ho vergogna della mia vitalità e del mio coraggio, mi occorrono in ogni momento, prestandomi soccorso, mi sento forte e pronta a sopportare innumerevoli cose perché “ sono così libera e giovane”! Sono così e, a volte, non lo sono affatto, quando mi scontro con la realtà: ho l’età per sognare, l’audacia di sperare e la forza di credere negli ideali che stanno nascendo in me, ma questi stessi sogni, questa speranza, questi ideali, che tanto conservo, subiscono i colpi della realtà che con estrema crudeltà tenta di distruggerli. Rimango fiduciosa. L’invasione degli alleati contrasta la precedente invasione dell’orrore patito in questi anni. Rimango fiduciosa che i nostri amici, che i nuovi amici ci liberino dandoci l’attesa salvezza. E così, Kitty, ti racconterò della scuola, della mia nuova scuola. Non posso pensare al mio futuro sulla base della morte, della miseria, della confusione che la cattiveria umana mi ha fatto così bene conoscere, perché io ho ancora fiducia nell’uomo. Chiamami idealista! Sai, Kitty, amica mia paziente, “io continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo”. Un conflitto non spazza via l’umanità, il senso di umanità. Un conflitto rafforza la convinzione che sia un dovere preservarlo nel tempo.
(Anna Frank è una ragazzina tedesca di origine ebrea, nata a Francoforte nel 1929. Vive in Olanda con la famiglia, composta da padre, madre e sorella. Prima di morire, a soli 16 anni nel campo di concentramento di Bergen Belsen, ci insegna grazie all’eredità del suo quaderno il valore della bontà e della libertà nonostante il mondo disumano in cui si trova a vivere).
Giugno 1942 – Agosto 1944. Ho un diario. Il regalo più gradito. E’ il primo che ricevo e mi piace subito: pagine rilegate in una copertina di cartone. Cosa potrei scrivervi? La mia vita? E perché no! Ho tredici anni, mi piace leggere, mi piace studiare soprattutto i miti, la storia degli dei, la matematica non mi riesce bene però mi impegno. Adoro andare in bici…è liberatorio. Parlo troppo, mi viene sempre rimproverato. Ma cosa posso farci? Ho la mia opinione…io. Gli adulti credono di avere le risposte perché sono più grandi, perché hanno più esperienza. Beh, io ho la mia seppur breve e un giorno ne saprò più degli altri. Magari sono impulsiva, magari non rifletto im maniera adeguata prima di rispondere, ma io voglio rispondere per dire la mia opinione che ha lo stesso valore di quella altrui. Ho delle amiche, ma non sono le amiche con cui mi confido, non ho una vera amica. Ora ho te, ho te, Kitty. So che sei solo un diario ma tu hai la pazienza di ascoltare e so che non mi giudicherai come fanno i miei familiari e questi coinquilini che ci siamo ritrovati come compagni di vita, in questo tratto di vita. Kitty, sono una reclusa in questo rifugio insieme a pochi altri rifugiati che con me dividono questo posto segreto, tenuto al riparo dagli orrori di fuori. E’ un posto piccolo e scomodo, entriamo qui a fatica, mangiamo qui a fatica tutti insieme, litighiamo. E’ dura sopportare questi estranei! Mi criticano di continuo perché per loro sono viziata e poco educata. Anche mia madre lo fa. Mi fa pena mia madre e non è bello quel che dico perché si dovrebbe amare una madre, ma lei è così dura con me. Potrebbe essere un’amica? Un’amica per me? No, Kitty, non è come te. Lei non vuole essere un’amica, pretende di essere una madre, però non è brava con me né come amica né come altro. L’affetto non si può pretendere, nasce nel tempo, va meritato. Dopo tutti questi anni di incomprensione e di mie sofferenze taciute…, come posso provare qualcosa per lei che non sia pietà per come ha rovinato il rapporto madre-figlia? “Ho pietà di mamma, moltissima pietà, perché per la prima volta nella mia vita ho notato che il mio contegno freddo non la lascia indifferente”. Kitty, sono una cattiva persona? Mi viene detto di sì e mi viene detto altro. A volte rimango in silenzio cercando di frenare la mia lingua tagliente ma non si può sopportare sempre tutto. Io sono una persona con un futuro da vivere! Non sei d’accordo con me? E poi gli ospiti di questa casa! Questo rifugio è troppo stretto per delle persone così diverse! Ma è un rifugio e ci tiene al sicuro. “Ho la speranza che tutto finisca presto”. Vorrei un bagno tutto mio e una scrivania da non condividere con un uomo scorbutico che mi rimprovera per ogni sciocchezza…che non è nemmeno un mio parente! “Io desidero più di tutto una casa mia e la libertà di muovermi e poi vorrei essere nuovamente aiutata nel mio lavoro, ossia andare a scuola”. E vorrei poter andare in bici. Ma agli ebrei non è permesso andare in bici. Agli ebrei non sono permesse tante cose! Forse mi lamento troppo, Kitty, lo so, ma la tua Anna è così: Anna ha bisogno di ribellarsi per sentirsi viva! Non mi giudicare, Kitty, non tu. “Chi vive normalmente non può sapere che cosa significhino i libri per noialtri rinchiusi. Lettura, studio e radio sono le nostre distrazioni”. Ogni tanto guardo in strada, quando scosto leggermente la tendina da un angolo di finestra e li vedo: quei poveri ebrei trattati come bestiame, privati di tutto, tolti alle loro case, privati del loro futuro, condotti ad una morte certa. Non voglio pensare alla morte ora, ora che siamo rifugiati in questo strano posto, con i nostri letti accomodati, i vestiti logori e le scarpe vecchie. Alcuni vicini, cari e buoni vicini, ci danno aiuto. Per quanto ancora? Non voglio pensarci più di tanto. Sono fortunata, Kitty, non è vero? Ho te che mi ascolti e ho la mia famiglia qui. Papà è speciale, con lui ho un buon rapporto. La notte, quando sento i cannoni e mi sveglio, corro da lui. Anche le mitragliatrici fanno paura, ne fanno di più, sembra che siano dentro casa. Ascolto insieme agli altri la radio, ci dà conforto, possiamo sperare che tutto terminerà per noi e io posso non pensare più a quelli che non ce l’hanno fatta. Tempo fa hanno costretto i giovani studenti olandesi a prestare giuramento per dichiarare il loro appoggio alla causa tedesca, rinnegando le proprie convinzioni. Non capisco cosa sia questa causa tedesca! Chi si rifiuta finirà nei campi di lavoro in Germania. “Che cosa rimane della gioventù olandese, se tutti debbono duramente lavorare in Germania”? Ascolti sempre i miei sfoghi emotivi, Kitty. Grazie! Sai, “quando penso a come viviamo qui,
giungo sempre alla stessa conclusione che, in paragone con gli altri ebrei che non si sono nascosti, siamo in Paradiso. Però quando tutto sarà ritornato normale, ricorderò con stupore quanto siamo malridotti qui, noi che a casa stavamo tanto bene”. Quanti ebrei trattati come bestie malate e abbandonate vedo condurre al macello! Quanti? Non li conto, non voglio parlarne nemmeno a te. “Il solo pensiero per me è un incubo”. Ma li vedo. Vedrò un giorno me con loro? Nessuno mi risponde. Ho capito che gli adulti, a volte, hanno più paura dei ragazzini. Io ho paura, a te confido tutti i miei incubi, ma di giorno ho mille faccende da sbrigare e tanti compiti da svolgere. Voglio essere una buona alunna. L’anno prossimo tornerò a scuola, in una scuola non solo per ebrei, quando finirà questo incubo della guerra. Gli alleati sono sbarcati in Sicilia, gli alleati sono in Italia, Mussolini è capitolato. “Siamo cosi egoisti che parliamo di un dopoguerra, ci rallegriamo pensando che avremo vestiti nuovi e scarpe nuove, mentre veramente dovremmo risparmiare ogni centesimo per aiutare gli altri, dopo la guerra, a salvare quello che è ancora salvabile”. Io aspetto la fine di questa miseria. Tu non lo faresti? Ho un pezzo di pane ogni giorno, o quasi, comunque mangio, abbiamo diverse scorte nel rifugio. Sono fortunata, ancora tanto fortunata. Ma guardare in strada è doloroso: i bambini olandesi sono così…vittime di questo periodo, così soli e avviliti da chiedere ai passanti un pezzo di pane per poter mangiare, almeno quello. Oh, Kitty, che dolore vedere tutto questi abusi riversati sugli altri e provare un minimo di gioia per me stessa! Perché io ancora non sono stata trovata come tanti nostri conoscenti. Non li rivedrò, non so nemmeno dove siano stati portati, deportati. “Aspettano gli ebrei e aspettano i cristiani”. Il mondo aspetta la fine della guerra e “molti aspettano la morte”. Non dovrei pensare alla morte, non alla mia età, a volte l’aspetto anche io, quando ho paura, quando sono stanca di questa situazione. Vivo in questo alloggio sicuro da oltre un anno e mezzo e la morte ci cammina accanto senza darci tregua. A tredici anni non pensavo alla morte. Tu ci penseresti? Forse crescendo si pensa a tante più cose, così tante da sconfinare dove non si dovrebbe: nel dolore, nelle privazioni, nella morte o, peggio, nell’attesa di essa. “Ah, come divento saggia! Tutto qui deve essere fatto saggiamente, ascoltar le prediche, tenere il becco chiuso, aiutare, essere amabile, dar ragione a tutti e via di questo passo. Ho paura che la mia saggezza, che non è poi molto grande, si consumi molto in fretta e non me ne resti più niente per il dopo guerra”. Cosa non si fa per l’amore della pace! Come è difficile trovare la pace qui dentro, dove siamo tutti pressati e in contrasto tra di noi! Non mi stupisce che lì fuori la pace sia tanto ostacolata quanto voluta. Non devo essere triste, non posso essere maliconica. “E che senso avrebbe fare del nostro rifugio un rifugio malinconico”? Passerà tutto, tristezza compresa, passerà come ogni periodo di dolore che si ricorda ma che non fa più tanto male. Io ricordo tutto, te lo assicuro. Come potrei dimenticare? Forse “avremmo bisogno di ignorare tutte queste miserie, ma siamo troppo angustiati per tutti coloro che ci erano cari e che non possiamo più aiutare”. Questa è la sorte di alcuni: vecchi, bambini, donne incinte, malati, tutti indistintamente percorrono la loro marcia verso la morte. “E tutto questo perché sono ebrei”! Alcuni come noi si salvano, se si nascondono e se vengono aiutati, per questo motivo viviamo tutti insieme: otto persone più un gatto a condividere tutto, non avendo nulla di prezioso da donare e cedere all’infuori della propria sopravvivenza. L’importante è salvare qualcuno, dandogli aiuto. Chi soffre, chi conosce la sofferenza intimamente condivide con altri quel minimo che possiede per non perdersi ulteriormente in altre più profonde sofferenze. E’ un marchio di infamia portare una stella sul petto? Ci hanno dato un marchio di infamia, per loro lo è. La Germania vede così una stella. Io vedo in cielo questa stella. “Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l'avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l'ordine, la pace e la serenità. Intanto debbo conservare intatti i miei ideali, verrà un tempo in cui forse saranno ancora attuabili”. Le stelle non appartengono forse al Cielo? Kitty, se potessi rispondere mi renderesti felice! “Chi, oltre me, leggerà un giorno queste lettere”? Scriverò ancora, secondo te? Sì, altri diari ed altre storie, “magari senza le difficoltà di questi tempi”. Tu mi conosci, Kitty, meglio di chiunque altro ed anche io ho
una buona conoscenza di me stessa. “In tutti i miei atti io posso studiarmi come fossi un’estranea. Io mi pongo di fronte all’Anna di tutti i giorni senza prevenzioni e senza scuse e osservo ciò che essa fa di bene e ciò che fa di male. Questo senso di me stessa non mi abbandona mai”. Non ho vergogna della mia vitalità e del mio coraggio, mi occorrono in ogni momento, prestandomi soccorso, mi sento forte e pronta a sopportare innumerevoli cose perché “ sono così libera e giovane”! Sono così e, a volte, non lo sono affatto, quando mi scontro con la realtà: ho l’età per sognare, l’audacia di sperare e la forza di credere negli ideali che stanno nascendo in me, ma questi stessi sogni, questa speranza, questi ideali, che tanto conservo, subiscono i colpi della realtà che con estrema crudeltà tenta di distruggerli. Rimango fiduciosa. L’invasione degli alleati contrasta la precedente invasione dell’orrore patito in questi anni. Rimango fiduciosa che i nostri amici, che i nuovi amici ci liberino dandoci l’attesa salvezza. E così, Kitty, ti racconterò della scuola, della mia nuova scuola. Non posso pensare al mio futuro sulla base della morte, della miseria, della confusione che la cattiveria umana mi ha fatto così bene conoscere, perché io ho ancora fiducia nell’uomo. Chiamami idealista! Sai, Kitty, amica mia paziente, “io continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo”. Un conflitto non spazza via l’umanità, il senso di umanità. Un conflitto rafforza la convinzione che sia un dovere preservarlo nel tempo.
(Anna Frank è una ragazzina tedesca di origine ebrea, nata a Francoforte nel 1929. Vive in Olanda con la famiglia, composta da padre, madre e sorella. Prima di morire, a soli 16 anni nel campo di concentramento di Bergen Belsen, ci insegna grazie all’eredità del suo quaderno il valore della bontà e della libertà nonostante il mondo disumano in cui si trova a vivere).